Una delle confusioni concettuali più diffuse nell’ambiente delle produzioni agroalimentari è quella tra food safety e food security. Colpa dell’italiano, che i termini safety e security tende a trattarli come sinonimi. L’inglese, invece, traccia un solco ben profondo tra le due parole.

Safety sta per sicurezza. Sicurezza alimentare come capacità dell’alimento o bevanda di espletare il ruolo di nutrire e fornire un effetto positivo alla salute, senza provocare problemi al consumatore. Security sta per sicurezza, anche. Ma intesa come abbondanza di cibo. In altri termini, la food security ha a che fare con la disponibilità di cibo, non con gli effetti del cibo sulla salute dei consumatori.

Ci è voluto un po’ prima che questa grande distinzione concettuale entrasse nella testa delle persone, ma forse al giorno d’oggi i concetti sono più chiari di quanto non lo fossero in passato.

Noi abitanti del mondo ricco non abbiamo problemi di food security, i nostri supermercati sono colmi di ogni tipo di produzione agroalimentare 365 giorni all’anno. Il nostro problema è, oggi, la food safety. E anche questa è un’affermazione tirata un po’ per i capelli. A livello legislativo c’è ancora molto da fare (OGM docet), ma siamo riusciti ad oggi a metter su un corpus di regolamenti che si preoccupa, di base e in modo efficace, della food safety, mentre successivi sviluppi si sono occupati delle informazioni da convogliare al consumatore, sempre più preoccupato dell’origine dei prodotti alimentari. Nessuno, o pochi, ha mai parlato della food security. O, almeno, nessuno se ne è davvero preoccupato. Perché porsi dei problemi che non esistono? Giusto. Ma questa visione è tutt’altro che completa e, quindi, soddisfacente. E’ una conclusione dettata dalla fotografia passata e presente del nostro sistema economico e agricolo, la capacità di comprare e produrre quello che ci serve. Fin qui, niente da dire. L’allarme che sta emergendo, però, è un allarme rosso e serve che tutti lo capiscano. E’ l’allarme dello spreco alimentare.

Secondo alcune stime, gli italiani buttano circa il 30% della produzione annuale di cibo. Un terzo di questa disponibilità alimentare diventa scarto. Questo dato allarmante è la somma di tutti gli scarti accumulati durante la fase di produzione in campo, trasformazione e consumo. Ed è un dato inaccettabile. Non mi riferisco al fatto che al mondo ci sono milioni di persone che non possono permettersi il giusto nutrimento e che muoiono nella miseria, no. Mi riferisco al fatto che il consumo di risorse è un fattore determinante nella nostra capacità di garantirci un futuro. Di per se, infatti, viviamo in società ecologicamente insostenibili e lo spreco alimentare rende ancor più grave il problema dell’impatto ambientale.

Le risorse del pianeta sono limitate. E’ questo che la gente fa finta di non sapere. Limitato, vuol dire che un utilizzo efficiente delle risorse non è solamente consigliabile, ma obbligatorio. E sta a noi rendere l’utilizzo delle risorse efficiente.

Un esempio di risorsa limitata che potrebbe diventare in futuro vincolante per la nostra civiltà occidentale? L’acqua. Non il petrolio, ma l’acqua. Senza questa risorsa diventa praticamente impossibile produrre. Gli scenari che tendo a ‘dipingere’ sono a volte un po’ estremi, ma ciò che stanno vivendo i paesi africani negli ultimi decenni sono problemi insormontabili dettati dalla mancanza di acqua.

La FAO riporta gli effetti dell’ultimo El Niño sulle produzioni agricole del sud dell’Africa e i dati sono, oltre che allarmanti, illuminanti per chi ancora non ha idea di quanto catastrofiche siano le condizioni climatiche estreme. Zimbabwe, Malawi, Zambia, South Africa, Mozambique, Botswana, e Madagascar stanno vivendo il periodo di aridità più accentuato degli ultimi 35 anni.

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Gli agricoltori hanno quindi ritardato la semina, sperando nell’arrivo delle piogge e nonostante in alcune zone l’allarme sia parzialmente rientrato, le previsioni indicano che, anche ammettendo piogge regolari, la produttività del mais calerà drasticamente quest’anno. Poche piogge nelle stagioni della semina 2014-2015-2016 porteranno quasi sicuramente al crollo delle produzioni. La produzione calerà di almeno un 25%, stando alle stime del South African Development Community. Le leggi del mercato sono ‘secche’ al riguardo: cala la produzione, cala l’offerta. Cala l’offerta, i prezzi aumentano. Questo implica che sempre meno persone potranno acquistare. Botswana, Swaziland, South Africa e Namibia hanno iniziato a tagliare la disponibilità di energia elettrica, in quanto i livelli di acqua nei bacini idrici è sceso al di sotto dei livelli soglia. Anche se è difficile fare stime della popolazione che soffrirà le conseguenze di questi cambiamenti, è tuttavia chiaro che non si può stare con le mani in mano. Pertanto, sono state consigliate alcune misure di contenimento della crisi: aggiornamento continuo multidisciplinare sull’andamento delle produzioni della stagione, in modo da fornire dati per prendere decisioni per il futuro; aumento dell’assistenza ai nuclei familiari (household) produttivi; adozione di ulteriori piani per l’immediato futuro; aumento della consapevolezza della necessità di un approccio regionale e non locale per gestire e limare gli effetti negativi di un fenomeno che sta diventando sempre più esteso e frequente.

Lo schema sembra semplice, quindi: se manca la risorsa principe, tutto il resto cade come un castello di carte. E’ stato sempre uno dei maggiori problemi dei paesi africani, tuttavia non pensiamo mai che una cosa del genere possa accadere a noi, europei. Forse sarebbe il caso di girare lo sguardo verso ciò che è accaduto fino a non più di due settimane fa, quando ci si domandava ‘quando pioverà?’: fiumi quasi in secca e laghi alpini di parecchio sotto il limite medio. Strano che fenomeni di questa portata stiano diventando sempre più frequenti in Italia, soprattutto al Sud, che notoriamente soffre maggiormente la mancanza di precipitazioni. Il fatto che il Nord, notoriamente più tranquillo sotto questo punto di vista, inizi a denunciare con una certa frequenza lo stesso problema.

E’ tutto molto semplice, quindi. Oggi ci preoccupiamo della food safety, ma un domani potremmo preoccuparci anche noi della food security. Non che l’acqua sia l’unica minaccia ai supermercati: il diffondersi di patogeni è favorito in moltissimi casi da condizioni climatiche estreme per le nostre latitudini. Il 2003 ha visto una grande diffusione di funghi micotossinici tra il mais e questo portò a grandissimi cali della produzione. Voglio dire, la food security include la food safety: non possiamo produrre mais contaminato di micotossine e alimentare gli animali con quello. Pertanto, la food security deve fare il conto anche con la percentuale di perdite dovuta a contaminazioni inaccettabili della materia prima di partenza. E visto che fenomeni di questa tipologia potrebbero facilmente diventare più seri e frequenti negli anni a venire, direi che il problema della food security riguarda anche noi.

Sarebbe il caso di iniziare ad educare la gente a questi cambiamenti epocali, altamente probabili. Sarebbe il caso di comunicare in maniera efficace che lo spreco alimentare di oggi potrebbe essere la nostra condanna domani. E come dico sempre, sarebbe il caso di educare le nuove generazioni, dalle scuole elementari in poi, a ragionamenti razionali di questo tipo.

Ne va del nostro futuro.

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El Niño set to have a devastating impact on southern Africa’s harvests and food security