Sulla mia scrivania c’è un mucchietto di monete di rame. Centesimi. 15 centesimi, 11 monete. Una miseria per me che vivo in uno dei paesi più ricchi del mondo. La gente dice che i soldi sono le cose più sporche che esistano, ed è vero. Da quale punto di vista diciamo che i soldi sono la cosa più sporca? Il fatto che la moneta sia il bene comune di scambio la rende prima di tutto substrato di contaminazione microbica, per cui su una moneta, tanto quanto su una banconota, possiamo trovare specie microbiche di tutti i tipi e in tutte le quantità (provare per credere: poggiate una moneta qualsiasi su un terreno PCA, incubate a 37°C per due giorni e vedete cosa viene fuori… gli alieni). Ma nonostante questo sia il primo aspetto da prendere in considerazione, esso non è tuttavia il principale. I soldi sono prima di tutto microbiologicamente contaminati, ma sono soprattutto moralmente indecorosi. La sola esistenza di un bene comune di scambio è sbagliata. La stessa idea di sistema economico è sbagliata.

Come mai penso questo? Perché sono convinto che i problemi complessi paradossalmente debbano essere risolti nel più semplice dei modi. Credo che tutti quanti conoscano l’aneddoto del nodo gordiano: Alessandro Magno – si narra – si trovò a dover sciogliere un intricatissimo nodo ma, non riuscendo a venirne a capo, optò per la soluzione più semplice, quindi prese la sua spada e lo tagliò a metà. Persino in Watchmen la risoluzione della Guerra Nucleare incombente sull’umanità viene raggiunta con un ragionamento di questo tipo. Questo dimostra che non è assolutamente vero che i problemi complessi necessitino di soluzioni complesse. Esistono vie che vengono scartate a priori e che invece possono risultare vincenti… come quella di abolire la moneta, e in generale il sistema economico, per risolvere “alcune” questioni di importanza fondamentale. Non ci vuole un genio a capire che lo sviluppo della tecnologia, come lo sviluppo dei paesi poveri, dipende da un meccanismo complicato di convenienza economica, di utile e di bilancio di impresa. Se le condizioni idonee per le aziende non si manifestano, allora non se ne fa niente, perché non è conveniente, perché insostenibile e tutto il resto. Ma siamo sicuri che questo modo di pensare ci renda liberi di esprimere appieno il nostro potenziale? L’incatenamento dell’uomo è intrinseco al sistema stesso, perché posso avere tutte le idee del mondo, ma se non c’è convenienza, se non c’è qualcuno che ci guadagna qualcosa, le mie idee rimangono irrealizzabili, anche nel caso in cui possono arrivare a risolvere piaghe come quella della fame nel mondo. Siamo schiavi di un sistema vecchio e datato, oramai. Non ce ne accorgiamo sicuramente, altrimenti avremmo risolto i nostri tanti problemi da diversi decenni. Siamo schiavi del come gestiamo le nostre risorse. Il sistema in questione ha modellato anche le menti di coloro che ne fanno parte, e infatti tutti quelli che operano nel settore economico non fanno altro che tirare più acqua possibile al proprio mulino, credendo sia la cosa più giusta da fare: su questo argomento le università di tutto il mondo sfornano ogni giorno migliaia di economisti convinti. Ma siamo proprio sicuri che sia questo il modo più giusto di sfruttare le nostre capacità? Io sono sicurissimo oramai che proseguire su questa strada sia inutile. Anzi, posso dire in tutta sicurezza che tutto ciò è controproducente. Lo è sempre stato, ma mai come ora visto che le crisi degli ultimi anni, incrementate dall’aumento demografico e dai problemi ambientali, stanno pesando notevolmente sul futuro di intere popolazioni. Perché allora non iniziare a proporre qualcosa di diverso?

Stagniamo in questa condizione di dipendenza dalla moneta perché non siamo capaci di liberarcene. E’ dipendenza, incatenamento, come dicevo prima. Non ci soffermiamo mai a pensare che la moneta assume anche il titolo di diritto? Per esempio, è il diritto a mangiare: se hai i soldi mangi, altrimenti non mangi. Mangiare e bere però sono diritto di tutti quanti e i diritti non si dovrebbero comprare. Indirettamente è anche il diritto a vivere, perché se non mangi finisci col morire di fame. Il diritto alla vita, però, è sacrosanto. E’ giusto far dipendere la propria vita da un bene di scambio? E’ così evoluto questo pensiero? Ci pavoneggiamo, dicendo che siamo all’apice della nostra evoluzione (convinzione basata su concetti che ancora non riesco a capire), ma non ci rendiamo conto che siamo ancora molto primitivi. E siamo violenti, perché la moneta è alla base di tutte le guerre. Rientrano sempre interessi economici. E tantissimi altri conflitti scoppieranno per interessi economici. E’ così dall’alba dei tempi, quindi possiamo anche dire che su questo profilo non ci siamo evoluti affatto. Siamo rozzi e primitivi e dovremmo vergognarcene.

E’ inevitabile, a questo punto, il dover almeno immaginare un mondo senza moneta. Un mondo senza interessi economici. Logicamente il cambiamento rimane molto semplice, perché si tratta di una semplificazione, dell’eliminazione del “ma” che limita tante buone azioni, e che favorisce tanti intenti malvagi. L’intoppo – l’unico – è la società. Pensateci bene: chi sarebbe disposto a fare qualcosa senza aver in cambio qualcos’altro? Non si tratta semplicemente di abbattere la moneta tornando al baratto, ma di cambiare proprio modo di concepire i rapporti con gli altri e gli scambi a brevi e grandi distanze. Per raggiungere questo obiettivo servirebbero gli sforzi congiunti di tutti gli operatori di tutti i settori economici: applicare questa mentalità a tutti gli operatori di una sola filiera, per esempio, non permetterebbe al servizio di sopravvivere, perché andrebbe a cozzare con gli interessi economici di chi non fa parte di questo “sistema”. Per dirla in due parole, necessita un cambiamento di mentalità contemporaneo e su scala globale che coinvolga tutti quanti. Per dirne una, ci sarebbero sicuramente meno morti di fame nel mondo se ci impegnassimo nel permettere alle genti povere dell’Africa e del sud del mondo sviluppo e sostentamento materiale. Buona parte delle opere di carità invece su cosa è centrata? Sull’invio di denaro, sugli investimenti in loco, azioni che possono magari fruttare qualcosa, ma che sono decisamente insufficienti a risolvere il problema. Quello che serve ai paesi poveri è una guida pratica, non una mazzetta di soldi. E’ proprio da questo che si evince come siamo ciechi davanti ai problemi, e come pensiamo che il denaro sia la giusta cura a tutti i mali. Non è affatto vero e la dimostrazione è l’opera incessante di sacrificio (a costo zero) dei missionari nei paesi poveri. Basta poco per rendere la vita degli altri più bella e leggera. E’ possibile essere felici senza soldi, eccome. Se un domani riusciremo a liberarci da queste manette fantasma rappresentate dalla moneta e dal suo prodotto (il sistema economico basato sulla convenienza), ci accorgeremo di quale dono sia la vita, di quanto sia bello il nostro mondo, di quanto sia importante aiutare gli altri: avremmo a disposizione sicuramente più tempo per noi stessi, meno preoccupazioni, meno stress e più comprensione (a tutti i livelli). Sarebbe inoltre libero e fattibile qualsiasi progetto, qualsiasi viaggio, qualsiasi utilizzo di materia prima: tutti i produttori metterebbero a libera disposizione della comunità i propri prodotti, trovando soddisfazione nel proprio lavoro e senza pretendere nulla in cambio. Essendo liberi di produrre quel che più ci pare senza aver vincoli di irrealizzabilità annulleremo sicuramente la carenza di acqua e cibo dai paesi poveri e riusciremo sicuramente ad avere la strada spianata nella realizzazione di nuovi sistemi energetici. L’unico vincolo, a quel punto, sarebbe la fantasia umana.

Un cambiamento di questo tipo, seppur di proporzioni enormi, rimane, ripeto, molto semplice. E’ possibile attuarlo, eccome. Il fatto è che non vogliamo attuarlo. Non è un problema di fattibilità, ma di volontà: non sarà possibile arrivare a questo traguardo se prima non apriremo noi agli altri. Quello che vedo negli ambienti che frequento è la continua competizione. Se mi ci metto sono anche bravo nella competizione, ma è da un pò di tempo a questa parte che vedo nella competizione le energie di persone frustrate dall’isolamento che comporta l’essere, appunto, sempre in competizione con gli altri, il voler dimostrare di essere superiori e di essere migliori, il pensare sempre a se stessi e mai agli altri. Vivo in una società dove l’altruismo è un miraggio. Il primo passo verso il cambio di consapevolezza è, a mio modo di vedere le cose, proprio l’altruismo. Una volta che impostiamo la nostra vita in funzione della vita degli altri, soprattutto dei più sfortunati, è facile arrivare al passo successivo, ossia al vero sforzo per migliorare ciò che ci circonda. Questo porta inevitabilmente a capire quali sono i veri problemi e quindi le possibili soluzioni. Una volta comprese le soluzioni possibili, si opterà sicuramente per la più semplice… quella che ho brevemente descritto io.

A volte mi soffermo a pensare alla povertà dell’Africa e provo ad immaginare di essere io in quelle condizioni. Poi penso che sarebbe bello iniziare a diffondere questo modo di pensare proprio da quelle popolazioni che soffrono per colpa nostra la mancanza della nostra droga. Non sarebbe male far capire alla gente povera che lo stato in cui vive è modificabile in modo molto semplice, cercando di deviare con decisione dalla strada che sta disperatamente cercando di intraprendere (quella che noi abbiamo imboccato tantissimo tempo fa). Per noi che abbiamo 15 centesimi sulla scrivania ogni giorno (e centinaia di migliaia di Euro da parte, sempre a disposizione) è impensabile vivere la propria vita senza denaro, perché effettivamente non possiamo vivere senza di esso; per chi invece il denaro non lo ha mai visto è più facile continuare a vivere con lo scambio sincero e gratuito dei beni, che è l’unica strada per lo sviluppo. E a questo pensiero, un pò di gelosia mi viene.