Ci risiamo. Questo è un altro di quei periodi in cui la mia mente non riesce a concentrarsi su quello che è importante e continua a ripetere in loop la stessa identica domanda: “Ma perché sono qui?”. La tragedia che mi manda in depressione è semplice: vivo in un ambiente che non corrisponde affatto a quanto mi aspettavo anni fa. La cosa mi pesa ancora; una persona potrebbe pensare “Beh, dopo tutto questo tempo dovresti esserti abituato. Sai com’è, quindi passaci sopra”. Non ci riesco. Non riesco a sopportare il clima dei luoghi che frequento. Forse sono veramente stanco. La mia mente letteralmente si rifiuta di fare quello che dovrei fare: studiare, per esempio. Lo studio sta diventando un peso, non un piacere. Anni fa era un piacere imparare, trovavo tempo per tutto, mi veniva trasmesso piacere ed entusiasmo per lo studio; oggi è il contrario: entri in aula, arriva il professore di turno che non sa spiegare e lo fa tanto perché ci sono soldi di mezzo: una lezione (se lezione dobbiamo proprio chiamarla) che non trasmette nulla, niente emozioni (ok, ci può stare, dai), niente informazioni. In alcuni casi mi trovo di fronte ad ore di ostentatissima autocelebrazione da far cascare le braccia. Sono questi i casi in cui perdo la pazienza. Quando poi mi cimento a cercar di capire cosa dovrei imparare imposto il discorso in questo semplice modo: sono alla specialistica, devo cercare di approfondire i rudimenti della triennale; è necessario per me (specialmente per me) riguardare quello che ho studiato anni fa; devo integrare con le nuove informazioni, ossia devo approfondire. L’arduo è trovare qualcosa da poter scrivere sugli appunti: preso coscienza che quello che scrivi a lezione spesso non ha senso (dovete sentire i discorsi a lezione… sembra l’ultima gag di Checco Zalone), l’unica cosa che ti rimane è cercar di cavar qualcosa da internet, usando fonti sicure. Il lavoro, se porta a qualche risultato, costa ore intere di sola ricerca e interpretazione; non abbiamo libri utili allo scopo, ma solo liste di libri sconosciuti e difficilmente reperibili. Fare questa cosa tutti i giorni, dopo un pò, stufa, perché il lavoro che dovrebbe essere svolto da chi occupa la cattedra, ricade sulle spalle dello studente. Inaudito. Non posso fare il mio e il suo lavoro. Cosa vado a fare a lezione? Si tratta a tutti gli effetti, di una perdita di tempo. Il tempo che abbiamo a disposizione, poi, non è che abbondi, anzi, quindi l’unica via d’uscita che mi viene in mente è quella di saltare a pie’ pari la lezione.

Oggi l’ho fatto. Un pò il mio stato d’animo profondamente lacerato da tutta una serie di fattori (primo tra tutti la nostalgia), un pò il clima di questa parte d’Italia, mai veramente bello e invogliante lo studio (specie d’inverno: stamattina alle 7 e mezzo c’era un buio bestiale, neanche fossero le 4 di mattina), un pò il clima che si respira in classe, tutto ricco di nordici sprezzanti e poco intelligenti che sono li solo per leccare a tutti gli effetti quella cosa che occupa la cattedra (e che siamo obbligati a chiamar professore), un pò lo sconforto per quello che mi aspetta quando torno da lezione (una serie di pagine di appunti incomprensibili che devo sistemare al più presto, nel miglior modo possibile, risparmiando quanto più tempo e cercando di non impazzire), un pò lo stress da collegio (oggi più che mai alto, visto che si accumula in modo progressivo senza sfogarsi in alcun modo).

Obiettivamente, è difficile per una persona come me provare amore per quello che studio qui: è anzi un peso, un peso aggravato dal fatto che io devo a tutti i costi superare questi esami. Un peso che si alleggerirà quando supererò gli esami, ma tornerà più pesante di prima quando comincerà il secondo semestre.

Concludo dicendo che tutto qui è m***a. Non c’è niente che stimoli lo studio. Solo gli ossessi riescono ad andare avanti. Non so quanto possa essere utile andare avanti nello studio rendendolo un’ossessione e di conseguenza non vivendo la vita. Io non ci riesco: sono stato abituato ad essere interessato a quello che studio e imparo, non a farmelo piacere anche quando, in fin dei conti, non trovo alcun interesse. Ma la colpa di tutto ciò è solamente della direzione dell’università. Trovo difficile trovare anche un solo corso interessante non tanto perché il mio interesse è risicato, quando per il fatto che alla fine sono i professori a svolgere questo mestiere perché devono e non perché vogliono. La differenza sembra minima, eppure su di me ha risultati veramente devastanti.

Mi sento a posto con me stesso: se non riesco ad esplicare il mio potenziale (non sono inferiore a nessuno, anzi, ho dimostrato più volte che mettendomici con passione e determinazione sono anche superiore alla maggiorparte della gente) per colpa degli altri.